mercoledì 5 ottobre 2011

Lingua catalana, si o no?

Sui giornali spagnoli in questi giorni tiene banco una notizia che riguarda l'educazione scolastica in Cataluña. L'equivalente del tribunale amministrativo regionale di questa regione ha dato due mesi di tempo all'assessorato regionale alla pubblica istruzione della Cataluña per cambiare l'organizzazione delle lezioni nelle scuole locali, in quanto ha ritenuto (a più riprese, non solo ora) che la legge regionale che obbliga a far lezione solo in catalano è contraria alla Costituzione e, a fianco del catalano, le lezioni devono essere tenute in spagnolo castigliano (che ora é trattato a scuola al pari dell'inglese, cioè una lingua straniera). Ha tuttavia rimesso all'apprezzamento del governo regionale come organizzare il plurilinguismo scolastico.
(A dir la verità qualcosa di simile succede anche da noi, in provincia di Bolzano, dove ci sono scuole separate per italiani di lingua tedesca e italiani di lingua italiana, per cui me ne dovrei star zitto zitto... però questo non vuol dire che sia giusto, anzi).
Da notare che secondo le stesse statistiche fornite dall'assessorato all'istruzione catalano, il 35% della popolazione parla prevalentemente catalano, il 45% parla prevalentemente o solo castigliano (negli ultimi anni c'è stata una forte immigrazione interna da altre regioni) e solo il 17% è perfettamente bilingue, il resto parla altre lingue.
A detta degli stessi governanti catalani, la legge di "immersione linguistica" (come viene chiamata) è stata fatta apposta per riaffermare la lingua e cultura catalana contro il rischio che nel tempo divenga residuale. Ma è solo l'ultima, in ordine di tempo, a imporre l'uso del catalano nella vita di tutti i giorni.
Anche negli enti pubblici è obbligatorio conoscere il catalano e la legge impone che, preferentemente, i lavoratori del pubblico impiego parlino catalano.
Poi: le etichette dei prodotti commercializzati nella regione devono avere l'etichetta in catalano.
Poi: il 50% delle copie dei film che si distribuiscono al cinema devono essere doppiati in catalano (cosa che non succede mai...).
Poi: i docenti che sono contrattati dalle Università della regione devono conoscere sufficientemente la lingua per potersi esprimere correntemente in catalano (livello C).
Insomma, le giunte che si sono succedute nel tempo hanno posto in essere una serie di obblighi propri di uno stato sovrano, pur non essendolo.

Manco a dirlo la giunta regionale, per bocca del suo presidente e degli assessori, (partito nazionalista catalano che si chiama Convergencia i Unió) ha detto, praticamente, che non ha nessuna intenzione di riformare le lezioni, e che le cose rimarranno come sono ora, con il catalano lingua unica ufficiale a scuola e il castigliano lingua "straniera".

E' sempre difficile parlare di cose di casa altrui, bisognerebbe conoscere a fondo la storia e la cultura di un territorio per poter giudicare obiettivamente. Sicuramente pesano la storia centralistica di questo paese, appunto, e la richiesta di autonomia di una regione tra le più ricche e sviluppate della Spagna. Ma pesa, secondo me, in questo momento di crisi economica, la volontà di usare la bandiera nazionalista come specchietto per le allodole per allontanare il più possibile il dibattito sui sacrifici che la popolazione deve fare per risanare i conti pubblici e far ripartire l'economia (la Cataluña è la regione con il più alto debito pubblico fra tutte quelle spagnole).
Lasciando comunque da parte il giudizio sulla legittimità o meno delle spinte autonomiste che in questi trent'anni hanno convissuto con lo sviluppo di questo paese (ricordatevi cos'era la Spagna alla morte di Franco nel 1975, e guardatela adesso che ci ha superato come reddito pro-capite, tutta un'altra cosa...), una considerazione mi sento di fare. E riguarda il possibile sbocco di questa rincorsa per legge a imporre la lingua . E' possibile, anzi sta già accadendo e le statistiche sono lì a dimostrarlo, che se i governanti catalani continuano su questa via, ottengano un risultato contrario alle aspettative.
Primo perché una lingua non si tiene in vita per legge ma è soggetta ai processi sociali del territorio in cui è parlata, sia sotto il punto di vista dell'evoluzione e contaminazione linguistica con altri idiomi, che dell'effettivo uso per motivi di veicolazione della comunicazione e della cultura, dovuto in gran parte alla mobilità interna dei popoli con distinte lingue. Sotto questo punto di vista sarebbe meglio creare delle accademie o istituzioni di salvaguardia e sviluppo della lingua, che non imporla per legge.
Secondo perché stiamo, pian piano, assistendo all'inizio del tramonto di Barcellona come città europea per eccellenza in Spagna.
Questa meravigliosa metropoli scelta da milioni di turisti nel mondo, da centinaia di migliaia di giovani universitari attraverso Erasmus quale palestra di vita indipendente oltre che di studio, da migliaia di imprenditori europei per le sue opportunità economiche e di mercato, sta cedendo il passo a Madrid, dove non esistono tutte queste rigidità linguistiche (e commerciali).
Penso che, alla fine, la lezione sia questa: nel tempo della globalizzazione e della caduta delle frontiere nazionali (non solo i confini di stato), un territorio (e una popolazione) che si rinchiude in se stesso per paura degli altri (o per convenienza) poi ne pagherà sicuramente le conseguenze in termini economici e sociali.
Meglio aprirsi al mondo e usare le proprie tradizioni e la propria cultura come ricchezza per gli altri, confrontadosi con gli altri.

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