martedì 1 novembre 2011

Sansa di oliva per fare biocarburante.

Anche questa volta parliamo di Andalucia. Una regione, a ben vedere, a macchia di leopardo, con tanti problemi ma anche tante innovazioni in economia.
La Comunidad de Andalucia è la maggior produttrice in Spagna di olio d'oliva, soprattutto extravergini. E siccome la Spagna è il maggior produttore mondiale di olio d'oliva, ci troviamo nel cuore della produzione planetaria. Esporta prima di tutto in Italia (dove i maggiori oleifici sono in mano spagnola), e poi in Portogallo, Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Francia.
Bisogna dire che la Spagna negli ultimi dieci anni ha duplicato la produzione di olio d'oliva, stracciando di molto le quote assegnatele in U.E. Questo ha portato a una caduta del prezzo dell'olio di oliva (soprattutto gli extravergini), che non riesce a remunerare i costi di raccolta delle olive e di trasformazione.
Però non è di questo che voglio parlare stavolta.
Quello che mi interessa e dare conto della capacità di utilizzo dei sottoprodotti dell'industria olearia, e di una iniziativa in particolare che in questo disgraziato (in senso economico) 2011 che sta volgendo al termine, si è imposta all' attenzione dell'industria energetica.
A Cordoba è sorta la prima industria spagnola che ottiene benzina, cherosene e gasolio dai sottoprodotti industriali, e in particolare dalla sansa di oliva.
La fabbrica, che si trova precisamente a Cañete de las Torres, ha visto un investimento di 14 milioni di euro, e produrrà circa 10.000 tonnellate di combustibile all'anno utilizzando 30.000 tonnellate di orujillo (sansa). Per la verità l'istallazione può utilizzare molti altri tipi di cascami industriali (plastiche, pneumatici, oli industriali, farine di carne).
Se questo tipo di industrie fosse generalizzato si pensa che la Spagna potrebbe ridurre l'importazione di petrolio di circa il 50%.
La famiglia Torres, di provenienza olivicola, che ha avuto la capacità di far partire questa iniziativa, ha mutuato l'idea facendo un viaggio in Giappone e visitando un centro di ricerca a Kobe. Il processo si basa sulla catalizzazione dei residui per trasformarli direttamente in combustibile, senza necessità di mescolarli con altri oli.
Se pensiamo che già si usa il nocciolo delle olive come combustibile al posto del pellet, mi sembra un buon esempio di blue economy (nel senso dato dall'economista-imprenditore Gunter Pauli).


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